Caroline Vermalle: “La felicità delle piccole cose”
"È iniziato tutto nel
giardino di Monet a Giverny. Lo ricordo come se fosse ieri. Era il
dicembre del 1979. Da più di trent’anni, ogni sera mi domando come sarebbe
stata la mia vita se non fossi entrato in quel giardino." Quasi fosse una caccia al tesoro, privo di un
vincitore, l’autrice del romanzo vuole mettere alla dura prova la fragilità
morale dei suoi protagonisti, e lo fa con una lettura di pensiero che
sconvolgerà la tranquilla e apparente esistenza di Frèdèric Solis e di
Pètronille. Tutto gira attorno alla pittura degli impressionisti francesi, da
Monet a Sisley, come riscoperta visiva dei paesaggi di un mondo tutto da
riscoprire, perduto. Un inizio di lettura quasi tedioso, fastidioso, come se Parigi
fosse il centro del mondo, e il resto solo briciole di una ciambella data ai
senzatetto. Il romanzo, diventa interessante, nel momento in cui Frèdèric
Solis, avvocato di professione, s’imbatte in una particolare eredità ricevuta
da uno sconosciuto, Fabrice Nile, con un lascito fatto di biglietti di treno e
musei, una caccia al tesoro sulle tracce di un quadro dimenticato di Monet, nel
ricordo di un bambino con il pigiama di flanella e del suo ultimo Natale,
quello del 1979, accanto al padre Ernest Solis, che scruta i dipinti francesi
stampati sui calendari. La bravura di Vermalle, l’autrice, sta nel fatto di
aver realizzato un puzzle di lettura intrinseco di coincidenze e di verità
nascoste, un viaggio senza ritorno, che solo alla fine saranno svelate
attraverso una virtuale partita a scacchi, molto dura e solitaria. Un problematico
compito lasciato nelle mani di Pètronille, segretaria dell’avvocato Solis,
nella scoperta di una realtà per nulla scontata, perché solo alla fine vince la
felicità delle piccole cose, una felicità che ti rimetterà in gioco, come lo
stesso bambino del Natale del 1979.
Agosta A.
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