Cronaca di una vacanza in clinica
È
tutto pronto per il mio ricovero in clinica. Borsone stracolmo di
biancheria, giornale sottobraccio e pensieri confusi per quello che
mi verrà fatto.
Ore
9.00 del mattino, arrivo in clinica e aspetto il mio turno come tanta
gente presente sul posto. L’ angoscia si legge sui volti delle
tante persone che aspettano per il ricovero. Ci sono persone pronte
per subire un’operazione chirurgica che gli cambierà la vita,
oppure solo per capire se è giunta la propria ora per l’ultimo
saluto.
Osservo
i parenti in lacrime come se quella fosse l’ultima volta che
rivedranno la persona a loro cara, pronto a partire per un lungo
viaggio senza più ritorno.
Ore
9.30: faccio la mia entrata in camera e, ad attendermi, c’è la
meglio gioventù. Divido la stanza con Pietro, il nonnino di 94 anni,
che proprio quel giorno festeggia il suo compleanno con una flebo sul
braccio e lontano dai suoi parenti. A 94 sei già arrivato e non
importa a nessuno se tu stai male davvero. Poi c’è Lorenzo,
l’ottantenne cardiopatico accudito dall’amore della moglie
Isabella.
Ore
12.30: arriva il pranzo in sala. Mi appresto a sedermi a tavola per
assaporare le prelibatezze previste per noi pazienti. Ero a stomaco
vuoto dal giorno precedente. Bene, il nostro pranzo è composto da
una porzione di maccheroni in bianco, scotti e insipidi. Fettina di
carne paragonabile a una soletta di scarpe, accompagnata da
un’insalata di verdure miste di qualche secolo fa. Finisco il mio
pranzo e mi sdraio sul letto, per la pennichella non c’è orario,
forse in clinica è l’unico svago che ti rimane.
Il
pomeriggio passa in fretta, leggendo il mio giornale con le notizie
non più fresche e a giocherellare con lo smartphone nuovo di zecca.
A tratti scruto il televisore spento che si trova di fronte a me,
perché spento resterà, serve da soprammobile sull’armadietto.
Ore
6.00 del mattino seguente. Il buon giorno dall’infermiera di turno,
Rosalba. Pare la donzelletta che vien dalla campagna, paffutella e
con le flebo in mano. Rosalba è l’infermiera tutto fare, la trovi
ovunque, ed è sempre disponibile per ogni tua esigenza.
È
pronta la colazione per il tuo risveglio. Però, stavolta scendo al
bar della clinica per un cappuccino e un cornetto alla crema.
Iniziano
le prime visite di routine, tra una battuta divertente con il medico
e l’infermiere del momento. Dimentichi che nella tua stanza ci sono
persone che soffrono in silenzio. Ti chiedi se tutto questo ha un
senso.
Come
di consueto passa il professore in ogni stanza per il solito giro di
viste, con un seguito di medici, paramedici, infermieri e curiosi.
Sembra Alberto Sordi nel film: “Il medico della mutua”. Sorriso
sulle labbra e una buona parola per risvegliare chi è già morto.
Ore
12.30: arriva il pranzo. Scendo al bar proprio come ho fatto per la
colazione. Prendo una lasagna calda e una fettina di carne ai ferri,
accompagnata da una porzione di insalata vera e non vecchia. Ci sono
momenti in cui rimpiangi la solita minestrina calda della mamma. La
stessa minestrina che ti fa assaporare un’atmosfera quasi
natalizia. La mamma è sempre la mamma.
I
giorni passano nella noia e ad aspettare un esito che non arriverà
mai. Sotto lo sguardo di Pietro che rivede in te la sua giovinezza
scaduta da troppo tempo. Speri di ritornare a casa e riprendere
quello che avevi lasciato in sospeso, come il gatto da accudire, tuo
unico amico sincero.
Ore
7.00 del mattino: mi sveglio sul letto di casa mia, nel corpo dei mie
40 anni, consapevole che la vita è breve e va vissuta fino in fondo.
Non vorrei ritrovarmi nelle vesti di Pietro, il nonnino 94enne, o di
Lorenzo, il malato cardiopatico accudito dalla moglie Isabella.
Perché la vita è adesso e non domani.
Agosta A.
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